Algeria: le ragioni di un massacro

In Libertà di educazione, n.8, marzo 1998, pp. 13/18

Avvertenza: il giudizio che davo nel 1998 sull'Islam, in quanto tale, appare, alla luce di quanto posso capire oggi, eccessivamente severo. Occorre infatti distinguere tra Islam e l'interpretazione che è stata storicamente data dell'Islam.


«In questi ultimi anni ci sono giunte e continuano a giungerci notizie di massacri in Algeria: centinaia di persone ogni volta vengono uccise, sgozzate, da bande armate di integralisti islamici (o almeno sedicenti tali). Il governo algerino appare impotente a porre fine a tale gravissima situazione. E qualcuno insinua anzi che dentro l'apparato statale si annidino connivenze e complicità con i terroristi. Di fronte a una situazione così grave la comunità internazionale si interroga su quanto sia in suo potere fare, tenendo presente che, se il diritto internazionale vieta ingerenze negli affari interni di uno stato sovrano, è pur vero che quando i diritti umani più elementari vengono violati, in misura così grave e continuativa, anche il principio della sovranità può conoscere qualche limitazione. Ma quello che qui ci importa non è tanto suggerire proposte operative, quanto offrire informazioni e riflessioni per un giudizio, di cui parlare in classe, per aiutare i giovani a guardare consapevolmente a tale situazione. Niente infatti di ciò che capita al mondo ci deve lasciare estranei e indifferenti.

Chiariamo subito i limiti di quanto diremo: non ci interessa qui stabilire "di chi sia la colpa" dei massacri che insanguinano quasi ogni giorno l'Algeria[1]. Quello su cui vorremmo far luce è il contesto, sono i presupposti di tali fenomeni, che meritano di figurare tra le pagine più orribili del '900, accanto ai Lager, ai Gulag, ai genocidi che hanno funestato la nostra tanto moderna, civile ed emancipata società, così orgogliosamente felice di poter guardare con sprezzante distacco il Medioevo, e così poco sincera nel guardare alle proprie, ben maggiori, nefandezze.

Ci sembra invece che per descrivere il contesto si debba tener conto di due fondamentali coordinate: una generica, ossia l'Islam, l'altra specifica, sulla peculiarità algerina.

1) un presupposto remoto: l'Islam

1) L'Islam è forse il fenomeno religioso con la più alta carica di violenza sulla faccia della terra[2]. Non si può in effetti dimenticare che l'Islam è l'unica religione a parlare di "guerra santa", ponendo tale concetto tra i propri pilastri più fondamentali. Non sarà un caso che, mentre il Cristianesimo si è diffuso, alle proprie origini, col martirio dei suoi membri, che si lasciavano uccidere dai Romani per testimoniare la divinità di Cristo, l'Islam si diffonde con la spada, uccidendo coloro che gli si oppongono. Il vero dialogo suppone chiarezza e sincerità. Tacere queste verità per coltivare rapporti di ambigua convivenza sarebbe solo illusione e complicità.

a) Si obbietterà che anche il Cristianesimo ha promosse azioni violente, come le crociate, o l'inquisizione.

a.1) Intanto non si può non osservare che tali fenomeni hanno costituito una aspetto assolutamente "minoritario" all'interno del ben più ampio (temporalmente e spazialmente) fenomeno del Cristianesimo: sono episodi decisamente circoscritti nello spazio e nel tempo (due/tre secoli nell'arco di venti).

a.2) Inoltre tali fenomeni si sono prodotti dopo più di dodici secoli dalla comparsa del Cristianesimo, il che documenta ulteriormente come il fatto cristiano non promuova, intrinsecamente e originariamente, alcuna forma violenza; laddove l'Islam è dalle origini, e per esplicita volontà del Fondatore, promotore di violenza, cioè della conquista armata di nuove zone da convertire ad esso. Significativa è la denominazione della parte di mondo non ancora convertita all'Islam: Casa della Guerra.

a.3) In terzo luogo si dovrà anche osservare come sia le crociate sia l'inquisizione non siano qualitativamente sullo stesso piano della "guerra santa" islamica: esse infatti appaiono, quanto meno nella coscienza dei suoi promotori, come azioni essenzialmente difensive[3].

b) L'Islam non ha conosciuto la violenza come un momento circoscritto e marginale, ma come dimensione permanente del proprio essere. E molto spesso proprio i cristiani hanno dovuto farne le spese, anche in età contemporanea: basti pensare al genocidio degli armeni (milioni di uccisi, dopo la prima guerra mondiale, per opera dei turchi), alla sorte dei cristiani in Sudan, in Libano, a Timor[4].

2) La carica di violenza che è in qualche modo insita nell'Islam è stata, in età contemporanea, aumentata da una miscela di fattori. Enumeriamone qualcuno.

a) L'Islam è una religione che si pretende non solo l'unica vera (perché questo lo si può dire anche del Cristianesimo, dell'ebraismo, del buddismo), ma quella destinata a trionfare visibilmente, nella storia, con un successo temporale indubitabile, che sia prova ad ogni credente del suo carattere divino[5].

Ora, paradossalmente, proprio una tale religione, tutta proiettata su un trionfo esteriore, ha invece dovuto sopportare che, dal XVI/XVII la leadership mondiale toccasse al Cristianesimo. È stata infatti la civiltà europea di matrice cristiana, a unificare il mondo, diffondendo dappertutto i propri valori. La lingua dei rapporti internazionali non è l'arabo, ma l'inglese, il calendario non è quello mussulmano, ma quello cristiano, la scienza e la tecnologia sono essenzialmente un frutto della cultura occidentale, l'economia mondiale è improntata ai valori occidentali, la carta delle Nazioni Unite pure. Nei secoli moderni l'Islam ha perso la sua sfida alla Cristianità, rimanendo una potenza periferica e insignificante.

b) L'apice di tale perdente confronto è stato raggiunto tra la fine del secolo scorso e i primi decenni del '900, quando i paesi europei, in particolare Francia e Inghilterra, hanno colonizzato più dell'80% dei territori islamici (con la sola eccezione dell'Arabia in senso stretto e della Turchia). Il massimo dell'umiliazione poi l'Islam lo ha dovuto subire dopo la Seconda Guerra Mondiale, quando l'Occidente ha protetto la creazione, in luoghi che sono santi anche per i discepoli del Profeta, di uno stato, Israele, che è stato subito visto come un insopportabile affronto, espressione potente e visibile, nel cuore dell'area arabo-mussulmana, del popolo più odiato, gli ebrei. Certo il petrolio ha in parte invertito la tendenza di cui abbiamo parlato e ha dato ai paesi arabo-mussulmani la possibilità di un certo riscatto. Ma i vantaggi sono stati per lo più di pochi (non hanno investito le cosiddette "masse arabe"), e non si è innescato un circolo virtuoso di tipo realmente produttivo. Il mondo arabo resta, nonostante punte di ricchezza da fiaba, specie nei paesi del Golfo, un mondo nel suo insieme ben inferiore a quello occidentale (come pure all'Estremo Oriente tecnologizzato).

c) Bisogna anche riconoscere che tale situazione, già di per sé pesante, è stata ed è tuttora resa ancor più pesante dal fatto che l'interlocutore privilegiato del mondo arabo-islamico è un certo tipo di Occidente (cioè, agli occhi dell'Islam, un certo tipo di Cristianità), rappresentato soprattutto da Stati Uniti e Inghilterra, e in secondo luogo dalla Francia[6]. Inglesi e americani in effetti si sono spesso comportati, anche in tempi recenti, in modo decisamente arrogante, e la Francia arrogante lo è stata fino a non molto tempo fa. Perché parliamo di arroganza? Si pensi alla vicenda irachena, o alla vicenda dell'aereo inglese abbattuto, sembra da terroristi libici. Stati Uniti e Inghilterra si comportano come se fossero i soli depositari della giustizia internazionale, o, diciamolo pure, i veri e propri padroni del mondo.

Tutto ciò non può che produrre un senso di ribellione e di ostilità verso l'Occidente nel suo insieme e verso ciò che ad esso si vede, a torto o a ragione, connesso, come il Cristianesimo.


2) la specificità algerina

L'Algeria è da sempre un'area da un lato sottoposta alla violenza dei conquistatori di turno e dall'altro fieramente bellicosa. Fin dai tempi dei romani i Numidi diedero del filo da torcere ai colonizzatori. Caduto l'Impero dovette subire la presenza di uno dei popoli germanici che è divenuto simbolo di devastante brutalità, i Vandali. Anche la successiva ondata di invasione, gli Arabi, non fu un fenomeno indolore: i berberi, cioè gli abitanti originari del territorio algerino, soprattutto dei rilievi dell'entroterra, opposero loro una strenua resistenza. Anche dopo che la conquista araba si impose, almeno come appartenenza alla comunità islamica, i berberi cercarono costantemente di scrollarsi un giogo troppo diretto da parte del potere "centrale" (il Califfato di Baghdad prima e il Sultanato di Istanbul poi), ritagliandosi margini di autonomia. La bellicosità è un tratto costante della storia moderna dell'Algeria, divenuta la principale base per imprese di pirati mussulmani, che funestarono e insanguinarono le coste cristiane del Mediterraneo nel '500 e soprattutto nel '600, attenuandosi solo nel '700: l'attività di pirateria era "il principale mezzo di sussistenza dello stato" (Enciclopedia Treccani). Tale bellicosità si espresse anche in una serie tumultuosa di rivolgimenti interni "a base di massacri e di orribili delitti" (op.cit).

Nel 1830 l'Algeria viene occupata dai francesi, che ne scacciano i turchi, completando però l'opera di assoggettamento del territorio solo nel 1871 (a ulteriore riprova della bellicosità degli algerini). La dominazione francese fu contrappuntata da rivolte. Fino a giungere alla guerra di indipendenza, dal 1954 al 1962, che fu una delle più crudeli e insanguinate della storia della decolonizzazione[7]. In effetti la forte presenza di coloni francesi, i cosiddetti pieds noirs, che assommavano a circa un milione, faceva parlare dell'Algeria come dell'equivalente francese del Sudafrica. Prova ne sia che all'inizio della guerra tutte le forze politiche francesi, sinistra comunista inclusa, appoggiavano l'idea di una "Algeria francese" come di una "Francia d'Oltremare". I pieni poteri che vennero perciò dati al generale Massu, per stroncare la rivolta, vennero usati con estrema determinatezza, giungendo a un vittoria parziale: nel 1957 la "battaglia di Algeri" era vinta. Ma il prezzo di tale vittoria fu l'uso di metodi che richiamavano la ferocia della Gestapo e delle SS (abituale la tortura, talora si ricorse anche al terrorismo stragistico, facendo scoppiare bombe dentro la Casbah, la parte araba di Algeri). Gli algerini rispondevano, come del resto nella loro tradizione, con altrettanta durezza, ad esempio mettendo in atto sanguinosi massacri terroristici nella parte "bianca" di Algeri, ma l'opinione pubblica francese cominciò a dividersi, e spinse il governo ad abbandonare la causa dei pieds noirs.

Nonostante l'indipendenza, conseguita nel '62, e il conseguente massiccio abbandono del paese da parte dei coloni bianchi, l'Algeria ha conservato un legame speciale con la Francia. Le recenti vicende vedono in effetti una discreta ma vigile azione del governo di Parigi, il quale ha certamente appoggiato le forze al potere nella loro resistenza all'integralismo. Come è noto infatti la nuova costituzione del 1989 ha liberalizzato i partiti e le prime libere elezioni nel 1991 sono state annullate le elezioni politiche dopo il primo turno, vista la netta affermazione degli integralisti mussulmani del FIS (Fronte islamico di salvezza). Tale decisione è sicuramente una violazione formale della legalità stabilita, ma data la situazione (considerando quello che accade laddove gli integralisti prendono il potere) è stata probabilmente il male minore. Da lì però il FIS e i suoi fiancheggiatori hanno scatenato violente offensive terroristiche: dall'assassinio del presidente Boudiaf, il 29.6.1992 ai massacri di stranieri, missionari, cittadini comuni. E siamo appunto alla situazione odierna: il governo è odiato da una parte della popolazione, quella che si riconosce nell'integralismo islamico, non solo perché ha impedito lo svolgimento di elezioni libere, ma perché lo ha fatto per conservare all'Algeria un minimo di rapporto con l'Occidente, con quell'Occidente che dovrebbe essere sinonimo di benessere e democrazia, ma agli occhi di quella consistente parte di popolazione è visto come nemico, sia ideologico-religioso, sia economico. In che senso sia nemico dovrebbe essere chiaro dopo quanto abbiamo detto sia parlando del risentimento del mondo arabo-islamico in generale, sia della storia algerina: la Francia in particolare è per molti algerini l'odiosa potenza coloniale che prima di andarsene ha massacrato migliaia di loro.

Il paradosso è che il governo di Algeri nega uno strumento di democrazia proprio in nome della possibilità di conservare la democrazia, che in effetti sarebbe ben presto cancellata dalla vittoria degli integralisti (come è accaduto in Iran), come pure cancellati sarebbero i più elementari diritti umani.

Il compito di chi cerca una pace fondata sulla giustizia è di impedire che l'Algeria si isoli dal mondo, affossandosi sempre più in una spirale di violenza e di integralismo. Ma occorre che il legame dell'Algeria con la civiltà sia assicurato con un linea sempre più limpida, senza oscure connivenze con chi eventualmente pensi che la violenza serve a qualcosa di buono. Esemplare in questo senso è stata ed è la presenza, eroica per il rischio quotidiano della vita, di missionari europei, ormai ridotti a poco in realtà. L'Italia può giocare in tal senso un suo ruolo, equilibrando con la moderazione che le deriva da un cattolicesimo radicato, le spinte spregiudicate di certi altri paesi occidentali, ma con la consapevolezza comunque che non gli arabi o gli algerini, ma l'Islam integralista e violento costituisce un reale pericolo per la libertà e la civiltà.»

note


[1] Non ci sentiamo di poter dire se la responsabilità ricada interamente sui terroristi islamici o se il governo di Algeri condivida almeno parte di tale responsabilità.

[2] Non si vuole dire che i mussulmani siano "geneticamente" violenti: il razzismo è una menzogna orribile. Nemmeno si può sostenere che l'intenzione di Maometto fosse quella di promuovere una violenza, diciamo così, fine a sé stessa.

[3] Non si trattava di conquistare con la forza ciò che non era cristiano, ma con la forza difendere ciò che era percepito come a)importante per la fede (cioè per il massimo valore della vita) e b)minacciato seriamente. Si trattava in effetti di difendere la possibilità per i pellegrini cristiani di recarsi ai luoghi santi (per le crociate), e di difendere la possibilità di riconoscere con chiarezza e certezza quale fosse la vera fede cattolica (per l'inquisizione, la quale infatti non perseguiva gli atei, o i non-cristiani, ma quanti si pretendevano cristiani senza esserlo, quanti pretendevano di insegnare il vero Cristianesimo, mentre lo stravolgevano, confondendo i semplici).

[4] L'unica eccezione a quanto stiamo dicendo è rappresentata dalla Bosnia, dove dei cristiani hanno usato una incredibile violenza contro dei mussulmani. Ma anche qui bisogna dire tutta la verità: non solo i mussulmani, ma anche i cattolici (croati) sono stati oggetto dei massacri dei "cristiani" (in realtà greco-ortodossi) serbi, che di cristiano non avevano niente e sono stati moltissime volte, e con fermezza, stigmatizzati dalla massima autorità cristiana, il Papa, che ha tra l'altro agito concretamente in favore degli oppressi. Mentre non ci risulta che nessuna autorità islamica abbia levato la sua voce per fermare il massacro dei cristiani armeni, o libanesi, o sudanesi.

[5] Mentre infatti per un cristiano la prova della verità della fede è essenzialmente in una esperienza personale, legata alla libertà con cui un uomo rischia nelle scelte della propria vita la proposta di Cristo, verificando quanto essa sia liberante, per l'Islam la prospettiva è molto più esteriore e politico-collettiva. Nell'Islam non c'è croce (condizione della Resurrezione), ma solo trionfo, e il trionfo non può che essere pubblico, esteriore, al limite militare.

[6] Molto minore è la presenza di paesi come l'Italia, la Spagna o la Germania, che saprebbero probabilmente trasmettere un'immagine diversa, e più equilibrante, di che cosa sia il mondo cristiano-europeo.

[7] A quanto ci risulta nessun paese colonizzato, nemmeno l'Indocina, che pure affrontò una guerra di indipendenza, ottenne l'indipendenza in modo così traumatico.